Aziende sotto una pioggia di provvedimenti e con misure di accompagnamento insufficienti 

L'Unione europea si presenta oggi alla Cop 28 di Dubai come l'alfiere planetario della sostenibilità e come l'area più attiva nella lotta ai cambiamenti climatici. Ben 20 i principali provvedimenti varati o in arrivo in 11 mesi, per rendere realtà lo European Green deal del 2019, il New Circular economy action plan del 2020 e la Legge sul clima del 2021. L'obiettivo è completare entro le elezioni europee del 2024 il pacchetto di direttive Fit for 55 (Pronti al 55%, riferito al taglio delle emissioni entro il 2030).

Ma i tempi sono stretti e i regolamenti e le direttive green si stanno trasformando in una pioggia di provvedimenti che aggiungono una enorme mole di regole sulle spalle delle imprese europee. Gli ambiziosi obiettivi fissati e le tempistiche attuative serrate si intrecciano in un groviglio tale da comportare il ridisegno delle strategie di interi comparti dell’economia europea. Le misure di accompagnamento e i pur ingenti fondi stanziati per la decarbonizzazione rischiano di non essere sufficienti per evitare alle imprese un conto salato. Eppure, ha commentato il Commissario all'Economia Paolo Gentiloni ieri, «stiamo mobilitando un volume di risorse per la transizione verde ampiamente paragonabile a quelle degli Stati Uniti» e 45 miliardi di euro sono riservati alle Pmi sostenibili, «fondamentali per il passaggio a modelli più sostenibili di crescita».

Eppure gli investimenti delle imprese per la svolta sostenibile - che sul lungo periodo porteranno indubbi benefici ambientali ed economici - rischiano di mettere a rischio la loro competitività internazionale. Del resto, i competitor americani, cinesi e di tutte le aree del mondo non sono soggetti a normative così stringenti e ad adeguamenti forzosi. I nuovi dazi ambientali Cbam, sull’import di beni la cui produzione è stata inquinante (in avvio già da dicembre in modo progressivo) rischiano di non mettere al riparo in misura adeguata l’industria europea dal dumping ambientale posto in essere dalle imprese di aree che non stanno attuando gli Accordi di Parigi sul clima. Accordi che, con l’Agenda 2030 Onu, rappresentano la base normativa della strategia Ue di sostenibilità, attuata dalle 20 principali direttive e regolamenti avviati quest’anno.

Il 2023 si è aperto, a gennaio, con l’entrata in vigore della direttiva Csrd, che rende obbligatoria a partire dal 2024 la rendicontazione di sostenibilità per oltre 55mila imprese europee (con attuazione scaglionata). Di fatto, però, le aziende soggette a compliance chiedono o chiederanno i dati sugli indicatori Esg (environment, social e governance) a tutta la loro filiera. E si parla di oltre due milioni di aziende europee, quasi tutte Pmi. I dati devono essere elaborati secondo i nuovi standard europei Esrs, diventati obbligatori per il regolamento delegato pubblicato il 31 luglio e vanno “bollinati” da un ente certificatore (se il recepimento italiano della direttiva confermerà questa misura). Costi in arrivo, quindi, per raccogliere i dati, elaborarli e certificarli.

La responsabilità lungo tutta la supply chain verrà peraltro confermata dalla direttiva Csdd ora in discussione al trilogo. La prima bozza della Commissione e gli emendamenti del Parlamento hanno allarmato qualunque azienda abbia fornitori asiatici o africani o sudamericani. Le imprese, in base alla loro dimensione, saranno responsabili della sostenibilità e responsabilità sociale di tutta la loro supply chain, con doveri degli amministratori di verifica e persino con remunerazione variabile incentivante se gli obiettivi climatici e sociali sono inseriti nei piani strategici. Bonus in cambio di verifiche dei fornitori, quindi. Le imprese dei settori tessile e moda hanno rilevato che queste norme impatteranno fortemente sulla loro strategia di approvvigionamento e che si sommano a tutte le altre normative europee cui sono diventate soggette negli ultimi anni: ne hanno censite 16, con obblighi di compliance imponenti.

Il manifatturiero sarà impattato anche dal regolamento Eudr sulla deforestazione e dalla direttiva in arrivo sui green claims, contro il fenomeno del greenwashing (promettere virtù ambientali e mantenerle in minima parte o in modo non dimostrabile). Anche le direttive sulla responsabilità verso i consumatori, sull’ecodesign (Espr) e sul lavoro forzato (che impone obblighi di verifica dei fornitori delle aree a rischio lavoro minorile e forzato) sono in arrivo a inizio 2024 e avranno conseguenze rilevanti sull’industria produttiva.

Discorso a parte merita la proposta di direttiva sul packaging Ppwd in discussione, che ha spaccato i Paesi membri, con l’Italia che lotta per limitare i danni e far cogliere la bontà del suo approccio virtuoso basato sul riciclo invece che sul riuso scelto dalla Ue. Si lavora a un accordo politico. Se ne riparlerà in Parlamento in plenaria e al Consiglio Ambiente del 18 dicembre.<button></button>